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Prof. Diano (Univ. Ca’ Foscari) sul libro: “Quando la ricerca storica sconvolge la vulgata ma promuove la verità”

19 Maggio 2012

 

Ringraziamo di cuore il Prof. Diano per ciò che ha detto e scritto in relazione al libro.

Antonio Diano è Bibliotecario del Dip. di Storia delle arti e redattore della rivista dipartimentale “Venezia Arti”; svolge attività di ricerca in ambito storico-artistico (periodizzazione medievale), con specifica attenzione all’area medio-veneta, presso lo stesso Dip. (fino a sett. 2006).  A far capo da giugno 2007 è responsabile della Biblioteca del Centro Interuniversitario di studi veneti, ove coordina un progetto complessivo – condiviso con enti scientifici e culturali esterni all’ateneo – di valorizzazione della pubblicistica di pertinenza triveneta e prosegue istituzionalmente l’attività di ricerca scientifica in ambito storico-artistico. Il Prof. Diano è autore di innumerevoli pubblicazioni a carattere storico, per una carrellata sintetica cliccare qui: http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=82525&persona=000783&vista=pubb

Fonte: http://www.agerecontra.it/public/press20/?p=10900

Quando la ricerca storica sconvolge la vulgata ma promuove la verità

del Prof. Antonio Diano

Appunti sul lavoro storiografico di Andrea Giacobazzi. (Da una conferenza veronese del 20 aprile 2012*)

Presentare a Verona, di fronte ad un pubblico vario e composito ancorché certamente interessato, un libro decisamente controcorrente e politically uncorrect come quest’opera importantissima del dott. Andrea Giacobazzi, è occasione ed esperienza che anche allo studioso consumato offre stimoli nuovi, spunti inediti, inviti all’umile riflessione sui risultati conseguiti da un giovane ma espertissimo ricercatore.

Il centro del lavoro si invera in un fondamentale punto storiografico e, per altri versi, politico (torneremo subito nel merito specifico).

Intendiamoci: il libro sconvolge le categorie politiche, destra sinistra etc., non perché – aspetto, io credo, importantissimo – intenda minimizzare o cancellare (quod Deus advertat) il buono che faceva da lievito fervido a molta della cultura e della politica del fascismo, dei suoi ideali, della sua straordinaria opera sociale, etc., bensì per rimetter ordine in sin troppe interpretazioni semplificatorie e talora aberranti che la machina potente del vincitore aveva messo in moto e diffuso sin sui banchi di scuola per giustificare gli assetti di potere post-bellici. Contro tale sistema finanziaristico, mondialista, materialista, laico, sia ben chiaro, il fascismo, in particolare quello repubblicano, prevedendo come sarebbe andata a finire se avesse vinto il ‘nodo’ liberalistico (cosa che purtroppo accadde), combatté, e fece bene! Non giudico, non è questa la sede, il fatto militare, ma quello ideale, sociale, meta-politico. Su che cosa abbiamo guadagnato dalla liberazione e dalla colonizzazione statunitense vi invito semplicemente a guardarvi attorno. Ciò detto, e scusate se uno studioso simpatizzante per il fascismo ha voluto precisarlo, emergono alcuni aspetti che sinora erano restati nel dimenticatoio.

Primo: il preteso antisemitismo italiano è una balla colossale. Mussolini “razzista riluttante”, per citare il titolo – magari vagamente buonista – di un noto libro di Spinosa, è giudizio che s’attaglia bene ai fatti storici, e s’incrocia coerentemente con molte altre fonti, militari e civili. Mussolini forse sbagliò nel 1938, non entro ora sul punto, ma fece poi di tutto per salvare molti ebrei dall’insidia nazista. Errore dunque, se tale fu, politico (il Reich ci avrebbe invasi?), forse sociale, ma non razzista, nel senso biologico-evoluzionista: chi non sa ormai che il razzismo biologico nacque nel ‘progressivo’ illuminismo franco-tedesco e fu compiutamente partecipato al mondo scientifico dall’evoluzionismo di Darwin; chi non sa che il selvaggio volterriano altro non era che un essere ‘inferiore’ che poteva tranquillamente essere eliminato o, al più, ‘addomesticato’? Perché Mussolini e Hitler erano – lasciatemelo affermare senza onere di comprova hic et nunc ma con fermo convincimento – l’antitesi l’uno dell’altro, almeno sul piano spirituale.

Secondo: tra il nazismo (non solo, si badi, quello occultistico-massonico della prim’ora, illuminato da Galli e da altri) e i vertici dell’ebraismo internazionale ci fu un accordo abietto e satanico onde sfruttare l’immagine di un popolo martoriato e costruirvi su la legittimazione del sionismo razzista e della creazione dello Stato di Israele. I vertici sacrificarono senza alcuno scrupolo morale una parte delle inermi popolazioni loro fideisticamente collegate: non 6 milioni, ovviamente, e non nei modi impossibili che sono stati disegnati della vulgata: C. Mattogno dovrebbe invitare, se non ad un cieca e acritica adesione, almeno al dibattito franco e privo di pregiudizi sulle modalità operative attraverso cui venne trasferito alla coscienza di massa uno dei paradigmi del consenso massificato e della strutturazione ideologica della condivisione valoriale e pseudo-storica dei fondamenti della nostra civiltà ‘democratica’. Una parte comunque – e s’è detto – morì e ne sarebbe bastato anche uno solo per indignarsi; quella parte soccombette onde raggiungere l’obiettivo sionistico nel 1948, con la collaborazione dell’Inghilterra che sappiamo ormai ebbe un ruolo di ‘cattivo’ nello svolgimento della guerra, sin dagli inizi. Hitler sfruttò il tutto per regolare faccende interne alla Germania e, questo è verissimo, mettere in opera azioni violente nei confronti di una minoranza che stava molto stretta al III Reich. Gli studiosi Agnoli e Taufer hanno convocato documentazione inoppugnabile, non foss’altro che per legittimare ex abrupto un dibattito mai fino ad oggi neppure concepibile, data la viltà dei media e dell’informazione conformista. L’immagine vulgata dell’“olocausto” fu preparata a tavolino onde trarne un mito fondativo dell’incipiente novus ordo, della mondializzazione degli uomini, delle coscienze, dell’economia, dei valori, delle religioni. Non c’è e non dev’esserci alcuno scandalo – per amor d’Iddio – in questo: non si dice – e ben altro ci mancherebbe! – che non ci siano stati i campi, non si negano i morti (anzi, si conferisce loro uno statuto moralmente e storicamente veramente dignitoso), ma si nega recisamente la dimensione sacrificale (e tanto più se invocata come univocamente tale, escludente e cancellante altre evenienze storiche parallele o equivalenti: razzista, insomma) di quei pur orrendi delitti, sulla base ideologica e politica della quale l’alta finanza ha costruito un sistema di legalizzazione delle guerre preventive e dello spirito di conquista del mondo e di controllo finanziario che appare oggi evidente a chiunque. S’è persa persino la consapevolezza semantica e storica della differenza tra antisemitismo e antigiudaismo.

All’evidenziazione di questa nuova e assolutamente obbligante lettura della storia del ‘900 Giacobazzi offre un contributo insuperabile, almeno per ora.

Ma lasciatemi dire un’ultima cosa. Perché avvennero queste infamie, perché il cd. “secolo breve” (come lo definì il grande storico marxista E. Hobsbawm) fu così tragicamente immerso nella ferocia degli uomini e nei tranelli orrendi della storia? Presto detto. Perché ci fu, a parte la voce dei Papi e di molti vescovi che s’innalzò a monito di tutti, un ‘grande assente’ sociale: Nostro Signore Gesù Cristo. Tutti i morti, gli sfollati, i sopravvissuti in disgrazia, anziani donne bambini civili massacrati, ricadono sulle spalle di coloro che voltarono le spalle a Iddio Onnipotente e alla regalità sociale di NSGC. Per fortuna non lo fece un Francisco Franco.

Ecco perché l’Italia fascista, accanto a indubbie cadute, ebbe anche molti meriti, e basterebbe pensare alle innumerevoli opere sociali del regime (per le donne in difficoltà, in primis): perché, al contrario della Germania pagana, il cattolicesimo restò sempre la religione degli Italiani, anche – piaccia o non piaccia – la religione di quel Duce il quale nel 1929 fu definito dal Sommo Pontefice “uomo della provvidenza”, che amava il clero rurale, guardava al misticismo della liturgia cattolica come – lui lo confidava – al territorio della sua più intima umanità. L’Italia cattolica da una parte, la Germania pagana dell’altra.

Ed ecco la morale: aver voltato le spalle a NSGC ha comportato un secolo di morte e di tragedia morale. Ha comportato le Fosse Ardeatine come conseguenza di Via Rasella. Ha comportato l’imbarbarimento verso gli ebrei causato dall’iniqua alleanza dei loro vertici con i massacratori. Olocausto nel senso che viene propalato oggi, ossia genocidio di un popolo come tale, non ci fu. Perché ci fu un solo Olocausto nella storia, uno solo: quello volontariamente inverato da Gesù Cristo sulla Croce. Sostenere che dichiarare questo equivalga ad essere antisemiti è un’idiozia pazzesca, un’infamia oltraggiosa; nel migliore dei casi sordida ignoranza, nel peggiore, consapevole inganno macchiato dalle bombe israeliane contro popolazioni inermi e innocenti. Il secolo presente supera di molto tale condizione. Che fare? Solo una cosa: ritornare a NSGC, rimettere ordine negli ambienti religiosi infettati di modernismo e di apostasia, costruire una società che ponga la Croce al posto che Le spetta: al di sopra d’ogni cosa.

Concludiamo con un paio di notazioni ‘politiche’. Speriamo davvero che si possa parlare serenamente della questione ebraica nella 2. Guerra mondiale. Ora infatti i due volumi dell’amico Giacobazzi coinvolgono e mettono in scena attori assai diversi da quanto sinora ritenuto dalla richiamata vulgata superficiale e opportunistica. L’evidenza delle carte convocate dallo studioso (che, ricordiamolo, è ricercatore di ruolo accademico e certamente non improvvisato) esprime la necessità che tale dibattito raggiunga e agganci non solo gli addetti ai lavori ma anche la pubblica opinione d’ogni nazione, sinora negativamente condizionata nel giudizio storico e morale. Le colpe e i ruoli appaiono a questo punto da attribuire a potenze e personaggi che erano stati ritenuti ‘buoni’ e che attraverso i loro compromessi e le loro politiche vili e spregiudicate assumono finalmente nei confronti dei presunti ‘cattivi’ una posizione di collaborazione che rimescola le carte e impone, documenti alla mano, di riscrivere pagine fondamentali della guerra, della questione ebraica e delle dinamiche che diedero origine al sionismo politico contemporaneo. La fabula da vincitori del bene e del male ‘assoluti’ crolla miseramente e senza possibilità d’appello. Ora ne possiamo parlare (salvi i ruoli storici delle parti, sia ben chiaro al di là d’ogni irenismo e d’ogni ‘castrismo di destra’, frutto della perversione della modernità) su basi nuove, anche perché è stato dimostrato che il permanere dei pregiudizi, oltre ad esser lesivo della storia, offende le vittime e nobilita carnefici che sino ad oggi troneggiavano nell’olimpo dei grandi ‘liberatori’.

*Trascrivo qui – con taluni aggiustamenti e rispettando un taglio volutamente e necessariamente divulgativo – il testo letto di un breve intervento di presentazione ‘a caldo’ (quindi assolutamente non ‘scientifico’) del volume di A. Giacobazzi, Il fez e la kippah, Parma 2012  (opera  preceduta, in totale coerenza, da Id., L’asse  Berlino- Tel Aviv,Rimini 2010 , sempre tenuta presenta in questa sede) recato a Verona, Libreria  Minerva,  il 20 aprile 2012, unitamente al contributo qualificante dei colleghi ed amici Matteo Castagna, Don Floriano Abrahamowicz, Giovanni Perez, Franco Damiani, Nicola Cavedini, Giuseppe Manzoni di Chiosca e altri esponenti di un pubblico attento e competente, ergo esigente – e pour cause – sul piano della coerenza storiografica e interpretativa. Una sorta di hommage ‘improvvisato’ all’amico dott. Giacobazzi, ond’io non mi presentassi ‘a mani vuote’ all’importante incontro veronese cui ero stato invitato. Un petit rien, insomma, che andrà sviluppato nel senso e nella  misura in cui la maturazione storiografica del dibattito  inevitabilmente  imporrà in relazione ai volumi qui discussi e alle problematiche complesse che, grazie al lavoro di Giacobazzi,  verranno presto ineludibilmente convocate.

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  1. Anonimo permalink
    20 gennaio 2013 12:22

    Se questo Diano è discendente di Carlo Diano, allora buon sangue non mente: capacità di penetrazione, analogia, sintesi davvero straordinarie. Un solo appunto: casi, isolati e minoritari, di feroce odio antisemita, di pervicace caccia all’ebreo, ci furono anche nelle gerarchie fasciste, e sono stati documentati.

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